LA STORIA CHE NON E’ MAI ACCADUTA

di Domy

 


Questa è una storia che non è mai accaduta. E’ una storia che nemmeno si potrebbe realizzare, considerando la rete assurda di eventi e di coincidenze che si intrecciano in essa.
E’ la storia dell’incontro di nove persone che non sono mai diventate ciò che sono...

L’aereo si era librato nel cielo da molto tempo e una fitta coltre di nubi copriva come un lenzuolo la terra sottostante, quasi a voler cancellare il suolo giapponese per aprirsi come un velo su quello americano…
Per Joe stava iniziando una nuova vita e, come apprese appena arrivato dal suo amico Hiroshi, sotto i peggiori auspici…

In quel momento preciso la lama affilata di Jet Link trapassava lo stomaco del ragazzo portoricano che lo aveva provocato l’ennesima volta in quei giorni.
Fu il getto caldo del sangue che gli sporcò la mano a fargli realizzare quello che aveva fatto e a fargli desiderare ardentemente di poter riavvolgere il nastro del tempo di solo due secondi. Intanto tutti i membri delle due bande si erano dileguati al suono delle sirene della polizia…Lui era lì, immobile, aspettando di svegliarsi dall’incubo, quando una mano lo trascinò via con violenza.
– Che fai lì imbambolato? Scappa! –
La portiera aperta di un’auto era l’ingresso della salvezza e lui vi sparì dentro, mentre le sirene si avvicinavano.
Appoggiati a un’auto nera, due uomini vestiti di scuro osservavano la scena.
– Peccato, poteva essere una bella occasione! – osservò uno di loro.
- Già. Ci rifaremo la prossima volta! – rispose l’altro.
La macchina si fermò nei pressi di uno scarico merci e Jet vide finalmente come si deve la faccia del suo salvatore: un tizio dal capello castano rossiccio, con lunghe basette, mandibola squadrata e una vistosa cicatrice sulla guancia destra. Il ragazzo scese dall’auto, ringraziandolo titubante. Il tale fece una mezza risata: non era certo una persona dall’aria rassicurante.
– Non preoccuparti: a tempo debito mi restituirai il favore! – detto questo sparì dentro al traffico cittadino.

- Hiroshi, spero tu stia scherzando!!- Joe era completamente scioccato.
- Purtroppo non scherzo affatto, Joe: abbiamo avuto la libertà, era logico che dovessimo dare qualcosa in cambio! –
- Ammazzare un uomo tu lo chiami “dare qualcosa in cambio”?!? –
- Che ti aspettavi? Mica il piacere ce lo ha fatto il buon samaritano! Ormai siamo in ballo: quel tipo ha contatti, qui a New York, e se lo deludiamo finiremo noi dentro una cassa! –
- Se ha dei tirapiedi qui a New York, perché non se lo fa fare da loro questo “favore”? –
- E’ ovvio: non vuole compromettere i suoi uomini. Chi sospetterebbe di due ragazzini giapponesi che non hanno alcun rapporto con la vittima? –
Joe si passò entrambe le mani sul viso, incredulo ed esasperato. – Se avessi saputo che per evitare la galera mi sarei infilato in un guaio ancora più grosso, sarei rimasto tra le mura del riformatorio! –
- Non dire sciocchezze! Dopo che ci saremo levati il pensiero, potremo iniziare una nuova vita, cominciare tutto da capo e realizzare finalmente i nostri sogni cancellando il passato con un colpo di spugna! –
Lo sguardo di Joe si fece cupo: stentava a riconoscere l’amico in quelle parole.
- Che dici? Che diavolo dici?!? E chi lo cancella il fatto che avremo commesso un omicidio?!?-
- Senti, quello che dobbiamo eliminare non è mica un santo: è un piccolo boss della mafia cinese; vedila come un’opera di pulizia sociale! –
Ora Joe non ce la faceva più. Raccolse con rabbia le poche cose che aveva e le infilò rapidamente nello zaino, avviandosi verso la porta.
– Hiroshi, fa’ quello che ti pare. Io non ammazzo le persone su commissione; preferisco sparire e rischiare di finire dentro una cassa, come dici tu…Addio!- si voltò solo per un istante, fissando gli occhi in quelli dell’amico, che gli rispose amareggiato.
– Va bene. Và per la tua strada! Io…preferisco vivere! –
Il ragazzo camminò a lungo per le vie affollate della città, senza sapere dove si trovasse e senza alcuna meta; gli sembrava di avere un turbine che girava nella testa, talmente assurdo e irreale appariva ai suoi occhi la situazione che stava vivendo…Doveva togliersi quell’inquietudine di dosso, fare il punto della situazione e…sparire quanto prima da qualche parte prima che la vendetta del suo “benefattore” lo raggiungesse. In più era terribilmente preoccupato per Hiroshi: ne avevano passate tante, insieme, lo credeva diverso…si chiedeva se davvero avrebbe avuto il coraggio di compiere un delitto, si chiedeva fino a che punto stesse rischiando la vita e se la polizia lo avesse preso…Mentre questi  pensieri gli rodevano la mente, il suo sguardo si sollevò inconsciamente verso la facciata di un edificio religioso, una chiesa in stile neo- gotico piazzata in mezzo ai grattacieli, che gli ricordava tantissimo quella dell’orfanotrofio dove era cresciuto…Istintivamente varcò la soglia; il silenzio di quel luogo, unito alle luci colorate delle vetrate e al profumo dell’incenso ebbero su di lui un effetto calmante. Tirò un profondo respiro e restò alcuni minuti immobile, cullato da quell’atmosfera che lo riportava indietro nel tempo…Una voce alle sue spalle lo scosse di colpo.
– Non ci posso credere! Tu sei Joe Shimamura! –
Quando si voltò vide un frate robusto dai capelli brizzolati con un sorriso bonario sulle labbra.
– Lei…lei è Padre Joseph! Mi ricordo: è stato quasi un anno presso il convento del sacerdote che gestiva l’orfanotrofio! –
- Ricordi bene! Come io mi ricordo di te! –
- Come fa? C’erano molti ragazzini insieme a me…–
Il viso del frate si fece lievemente imbarazzato – Si, ma tu eri l’unico che…-
Joe capì al volo – Già, che stupido: ero l’unico dal sangue misto! –
- Non è solo per quello: a modo tuo,  sei sempre stato un ragazzo particolare, per sensibilità e ingegno…avevi uno sguardo che era difficile non notare…- fece una pausa, mentre Joe arrossiva leggermente - Certo che il mondo è davvero piccolissimo! Che ci fai qui a New York? –
- Io…- rispondere a quella domanda lo imbarazzava davvero! Fortunatamente l’arrivo di qualcuno sulla porta della sagrestia lo tolse dall’impaccio.
– Ti voglio presentare una persona: lui è Punma! –
Un ragazzo di colore con un sorriso buono e lo sguardo estremamente sveglio e intelligente gli si presentò stringendogli la mano. A Joe fece uno strano effetto: non aveva mai conosciuto di persona un individuo di colore e quella era la prima volta che stringeva una mano così diversa dalla sua!
– Piacere, Joe. Sei da molto qui a New York? –
- Bè…praticamente da meno di ventiquattr’ore! –
- Caspita! Non sembri per niente spaesato! – esclamò il frate, che sapeva da dove veniva il ragazzo.
- Non è esattamente così…-
- Ti capisco! – rise Punma – Immagina come mi sentivo io, passando direttamente dalla savana ai grattacieli!-
- Eh? – fece Joe ancor più meravigliato.
– Si – rispose Padre Joseph – Punma viene dall’ Africa! –
- Sei il primo africano che conosco! –
- Se resti in questa città conoscerai praticamente tutto il mondo! – disse il ragazzo. – Padre Joseph mi ha salvato la vita: il mio villaggio era stato distrutto; lui si è preso cura di me e mi ha portato con sé al rientro dalla missione…-
Joe ascoltava con un vago senso di stupore e ammirazione: lui non sarebbe stato in grado di esporre con tenta tranquillità una storia personale talmente drammatica…
- Non è stato casuale – puntualizzò il frate – Punma è una persona con molto talento: è qui con me per studiare e laurearsi in modo tale da poter tornare nel suo paese e aiutare le persone con una storia simile alla sua! –
Ora l’ammirazione di Joe si fece decisamente sconfinata, mentre Punma sembrava chiaramente in imbarazzo e cercò di cambiare argomento…
- Joe, hai già mangiato qualcosa? Se ti va possiamo pranzare insieme…-

Francoise Arnoul si era appena coperta le spalle con una felpa di lana: come le sue colleghe, si era preparata di tutto punto con body e scarpette per le prove, ma quell’inconveniente aveva bloccato tutto e adesso era lì in attesa con le altre che qualcuno venisse a capo della situazione.
Attorno a lei c’era un tumulto e un vociare indignato, al quale preferiva non prender parte; in più un tizio pelato seduto al tavolino del bar con un bicchiere di whisky tra le mani le lanciava delle occhiate insistenti che la irritavano profondamente. Per sua fortuna, un altro tipo, biondo e dall’aspetto estremamente ben curato, raggiunse il tale al tavolo e rimase in piedi a parlargli.
- Lo sapevo che ti avrei trovato qua! –
- Qua o altrove che cambia? Tanto, finché non si chiarisce l’equivoco, possiamo fare solo un bel niente! – Quello in piedi fece un sospiro esasperato e si mise a sedere. – Uff! Che situazione assurda! E’ inconcepibile che ci facciano muovere da Londra per avere a che fare con un idiota che ha dato il teatro contemporaneamente a noi e a un corpo di ballo! –
- Vedi il lato positivo, Harry: i rivali sono…il corpo di ballo! –
- Cosa c’è di positivo? – domandò cupo.
- Le ballerine! –
- Va a quel paese, Bretagna! Stai perdendo colpi, se ti attraggono quattro nevrotiche scheletriche! –
- Bè, quella laggiù, ad esempio, non sembra né nevrotica né scheletrica! –
Harry si voltò, gettò uno sguardo a Francoise, constatò che l’amico diceva la verità e tornò inesorabile sull’argomento del giorno. – …Comunque pare che l’idiota sia l’amichetto del proprietario dell’immobile e che abbia seri problemi di droga! –
- L’ho sempre detto io, che la droga fa male! – commentò Bretagna, scolando un abbondante sorso dal bicchiere. Harry lo fulminò.
– Vogliamo parlare di roba che fa male? Quand’è che la pianti con l’alcol? –
- Ma se sono più che sobrio! –
- Ancora per poco, se cominci così dalla mattina! Vorrei ricordarti che, se non fosse stato per me che sono venuto a prelevarti a casa tua, a quest’ora staresti ancora dormendo sul tuo divano con tutti i vestiti del giorno prima addosso! –
- Hai ragione, Harry…mi dispiace. –
- Mi dispiace un corno! Sai benissimo che in questo lavoro la puntualità e l’affidabilità sono fondamentali! Se l’hai perso di vista, riconosci sportivamente a te stesso di avere un problema e fatti aiutare da qualcuno: io non posso certo occuparmi sempre di te! – detto questo si alzò e si allontanò più irritato che mai.
Bretagna rimase da solo, fissando il bicchiere pensieroso.
La bella ballerina si era avvicinata al distributore delle bevande e aveva qualche difficoltà nel farlo funzionare…L’uomo pensò di cogliere l’occasione per smettere di bere e socializzare con qualcuno.
- Posso darle una mano? – disse appoggiandosi al distributore, osservando con un sorriso la ragazza schiacciare  ripetutamente i tasti di quel diabolico arnese che aveva risucchiato la sua unica moneta senza rendere in cambio il caffè!
- No, grazie. – rispose secca, vedendo chi l’aveva avvicinata.
- Andiamo, non ne faccia una questione di orgoglio: mica è un duello privato tra uomo e macchina!-
La ragazza gli lanciò uno sguardo diffidente e, per farlo tagliar corto, si spostò di lato invitandolo a provare. Bretagna scrocchiò le dita e si mise ad armeggiare con fare professionale sui bottoni di quell’aggeggio, ottenendo da lui un cigolio assordante; moneta e bevanda erano evidentemente perse!
-  Accidenti! – esclamò l’uomo – E io che speravo di fare bella figura con una splendida ragazza! –
Francoise arrossì, senza sapere bene come comportarsi: non le piacevano quelle situazioni, anche se quello sconosciuto non sembrava antipatico o pericoloso.
- Ehm…non ha importanza! Avrà modo di rifarsi con la prossima ragazza! –
- Sarà difficile trovarne un’altra come lei! –
“Ma perché insiste?” si chiese, cercando un modo cortese per eclissarsi.
- Le assicuro che non incontrerà alcuna difficoltà; inoltre capisco di dare l’impressione di essere una persona matura, ma deve aver frainteso la mia età, considerando che tra di noi ci saranno almeno vent’anni di differenza! –
“Ecco, adesso devo essere stata proprio cafona, però se l’è cercata!”
Bretagna non fece una piega.
- La differenza d’età non è mai stata un problema! Comunque deve aver frainteso lei- aggiunse con l’espressione serissima - io non ci stavo affatto provando! –
Tra i due calò un imbarazzante silenzio, in cui la ballerina si sentì diventare piccola piccola.
- …e va bene: ci stavo provando! – rise lui, cambiando completamente l’espressione del viso - …Però le assicuro che ho intenzioni serie! –
Il modo e la faccia con cui disse quella battuta le fecero scappare una risata, poi tornò a guardarlo scettica.
- “Intenzioni serie”? –
- Si: intendo seriamente offrirle un caffè! –
- E va bene! – disse con un sorriso – Però la avverto: la smetta di provarci perché non è il mio tipo! – questa volta sentiva di poter parlare in modo diretto, scherzandoci su.
- Prometto di smetterla se smettiamo di darci del ”lei”: io sono Bretagna, attore in questa fantastica compagnia che si contende lo spazio con voi, leggiadre creature! – disse con un inchino, tendendole la mano.
- E io sono Francoise, ballerina in questa fantastico corpo di danza che farà di tutto per spuntarla e conquistare questo spazio! – rispose lei, facendo altrettanto.
- Si, qualcosa mi dice che vincerete voi! – osservò lui, lanciando uno sguardo oltre le spalle di Francoise, dove il manager della compagnia teatrale faticava a far valere le sue ragioni di fronte alla bellicosa insegnante di danza che lo fronteggiava mettendo alle corde anche il proprietario del teatro!
Nonostante le previsioni, quella mattina lo scontro finì zero a zero e tutti furono spediti per la loro strada; l’hotel dove alloggiava Françoise distava appena una fermata d’autobus, ma la ragazza decise di restare sul mezzo e di scendere dopo per fare una passeggiata per conto suo, in tutta libertà. Mentre guardava oltre il finestrino, standosene in piedi, non badò ai due occhi scuri che la fissavano. Si accorse che qualcosa non andava quando un urletto strozzato accanto a sé la fece voltare: un ragazzino dalla pelle ambrata fece cadere a terra il suo portafogli a causa della forza con cui un altro ragazzo, dai capelli biondi con un folto ciuffo, gli teneva stretto il polso. La frenata del bus e l’apertura delle porte li scossero tutti e il piccolo borseggiatore si liberò dalla presa fuggendo via dopo aver abbandonato il bottino. Joe si chinò a raccogliere il portafogli e glielo porse, pensando a quanto singolare fosse il fatto che, questa volta, il borseggiatore non fosse lui! Ovviamente si guardò bene di condividere questo pensiero con lo bella sconosciuta, che lo ringraziava sorridente.
- Non c’è bisogno che mi ringrazi; piuttosto cerca di stare attenta la prossima volta! – rispose sorridendo a sua volta – Io sono arrivato. Buona fortuna! –
Scese dall’autobus alla fermata che gli aveva indicato Punma dopo che ebbero pranzato insieme e che corrispondeva più o meno all’indirizzo dove aveva lasciato Hiroshi: voleva fare un ultimo tentativo di “redimere” l’amico; si meravigliò non poco del fatto che la ragazza scese dietro di lui.
- Aspetta! Permettimi almeno di ringraziarti offrendoti un caffè! – A dire il vero aveva già bevuto un caffè a colazione, uno con le sue colleghe e un altro con Bretagna: un quarto caffè avrebbe potuto non farla dormire tutta la notte! Joe si sentì lusingato di quell’invito; una parte di lui, più riservata, avrebbe rifiutato; tuttavia la fortuna insperata di trascorrere anche solo dieci minuti con quell’angelo gli fece accettare la proposta e pochi istanti dopo stavano seduti insieme dentro un bar.
– Non avrei saputo come fare, se non fosse stato per te: qui dentro ci sono i miei documenti e, purtroppo, neppure possiedo molto denaro! – disse lei - E pensare che a Parigi sto sempre attentissima! – aggiunse con un certo imbarazzo.
- Vieni da così lontano? –
- Si, ma non per conto mio: abbiamo avuto la possibilità, con la scuola di danza di cui faccio parte, di venire a esibirci qui e di fare uno stage con un famoso coreografo. Per me essere a New York è come un sogno! Non ho mai fatto un viaggio simile! Tu sei di queste parti? –
- No, decisamente no. – rispose con un sorriso, aggiungendo tra sé e sé: “ …E per me non è un sogno, è un incubo!”
Iniziarono a chiacchierare. Joe si stupì del modo in cui gli venisse naturale parlare con quella ragazza conosciuta solo pochi minuti prima: generalmente le ragazze con cui aveva avuto a che fare erano sempre o molto intraprendenti  (cosa che, anziché farlo aprire, lo spingeva a rintanarsi sempre più nel suo mutismo) oppure molto timide, il che non aiutava sicuramente la loro conversazione! Con Francoise, invece, era tutto molto naturale…non era né sfrontata o presuntuosa, né una bella statuina o una specie di monaca; era come se…
- …è come se ti conoscessi da sempre! – disse lei, anticipando i suoi pensieri e chinando il capo imbarazzata dopo aver visto l’espressione sorpresa del ragazzo.
- Strano! – rispose lui ridendo un poco – stavo per dire la stessa cosa! –
Uscirono a fare un giro al Central Park, che era lì vicino, e trascorsero insieme molto più tempo di quello che avevano pensato all’inizio, passeggiando per quasi due ore in mezzo agli alberi. Il profumo dell’erba e i colori della vegetazione creavano una strana atmosfera sospesa: era come se fossero stati già lì. Joe si sentiva bene come non gli capitava da tempo; Francoise era incredibilmente attratta da lui; quando una piccola foglia le si posò sui capelli e lui allungò le dita per toglierla si fissarono negli occhi per un istante interminabile e il desiderio di creare un contatto fisico divenne quasi insopportabile. Tuttavia non avvenne nulla e arrivò inevitabilmente il momento di salutarsi.
– Adesso dovrei andare – disse lei - altrimenti si preoccuperanno per me. Se ti va, potremmo vederci domani sera al teatro. Anzi: se dico che sei mio amico potrei farti entrare liberamente durante le prove aperte al pubblico! -
- Ecco…a essere sincero non ho mai visto uno spettacolo di danza classica! Non ne capisco assolutamente nulla, anche se, da come parli, deve essere molto bello…-
- Dai, Joe! Mi piacerebbe tanto mostrarti un balletto! – disse con entusiasmo, per poi ridimensionarsi subito dopo - …voglio dire…sempre se non reputi che possa annoiarti! –
- No, sono certo che mi piacerà. Ti ringrazio molto per l’invito: domani sera verrò senz’altro! –
Francoise gli rispose con un sorriso raggiante.
Joe non immaginava che quella giornata allucinante si sarebbe conclusa con l’incontro più bello della sua vita! Stare accanto a quella ragazza gli aveva fatto dimenticare in un colpo solo tutti i suoi guai ma, dopo che si fu ripreso da quella specie di torpore piacevole nel quale era rimasto dopo aver lasciato Francoise all’ingresso dell’ albergo, fu assalito da un terribile pensiero: ricordò che quella sera stessa, dopo le 22, Hiroshi sarebbe andato da solo ad “assolvere” l’incarico con il quale avrebbe dovuto “pagare” la sua libertà. Era da pazzi, e, probabilmente, avrebbe dovuto farsi gli affari suoi, ma non poteva permettere che il suo amico si macchiasse di un omicidio! Inoltre, nonostante dire di no a certa gente fosse molto pericoloso, certamente doveva esserlo molto di più lavorare per loro! Hiroshi era uno sciocco se pensava, in questo modo, di levarsi ogni pensiero: sarebbe rimasto per sempre legato a quel fatto di sangue, dunque ricattabile a vita! Joe decise di fare un ultimo tentativo e di fermarlo. Aveva un bel po’ di ore a disposizione per rintracciare il locale notturno di proprietà del malavitoso cinese che dovevano ammazzare; iniziò la sua faticosa ricerca e, alla fine, raggiunse il posto e si mise in attesa sul retro, da dove Hiroshi sarebbe penetrato per raggiungere il suo scopo. L’esecuzione era fissata per quella sera perché si sapeva che il locale era deserto: era giorno di chiusura e il tizio aveva un appuntamento molto riservato con una delle sue amanti, ragion per cui, molto probabilmente, anche il suo gorilla era stato mandato a casa. Non bisognava fallire: il “committente” aveva faticato un bel po’ per ottenere quell’informazione e solo l’esigenza di rimanere “pulito” gli aveva fatto affidare l’incarico a dei novellini.
Il vicolo era buio e silenzioso: il classico posto dove fare brutti incontri; Joe sorrise.
“Sono io, il brutto incontro!”
Dopo circa mezz’ora, Hiroshi apparve dal buio dalla direzione opposta a quella del suo amico, indossando un passamontagna, e scivolò dentro come un’ombra; Joe lo aveva visto e lo aveva chiamato, ma questo servì solo a fargli accelerare le sue manovre.
- Maledizione, non ha perso neanche un secondo! – ringhiò Joe, rimproverandosi di non esser stato abbastanza rapido. Sgusciò anche lui come un gatto all’interno del locale, che, come si intuiva da fuori, aveva tutte le luci spente tranne quelle basse e soffuse di uno dei privè al piano terra. Fu la voce di Hiroshi a farlo correre nella direzione giusta.
– NON PROVARCI; BASTARDO!!! – aveva urlato, allontanando con un calcio la pistola che il cinese teneva sempre a portata di mano e che aveva invano tentato di recuperare.
Ora l’uomo e la sua amante erano alla mercè del ragazzo, che avrebbe fatto immediatamente fuoco se, contro ogni sua previsione, Joe non si fosse frapposto tra l’arma e le due potenziali vittime.
- Fermati! Non puoi farlo! Se vuoi farlo, dovrai prima ammazzare me!! –
- Tu…tu sei completamente pazzo!! Levati da qui, stronzo!!! – Hiroshi era furioso, ma anche terrorizzato a morte. A levarlo da quell’imbarazzante situazione, gli arrivò un violento colpo sulla nuca, che gli fece perdere completamente i sensi. Da dietro al paravento, all’improvviso, era sbucato un buffo ometto con i baffi vestito da cuoco, e aveva tramortito il ragazzo con un mattarello di legno di quelli usati per fare i ravioli! Dopo aver sferrato il colpo, era rimasto immobile con le mani sui fianchi, guardando Joe, quasi dicendogli con lo sguardo che, se fosse scappato abbastanza in fretta, non gli avrebbe fatto nulla! Joe colse al volo il messaggio e, dopo essersi caricato l’amico sulle spalle, si dileguò in pochi istanti.
Il malavitoso guardava basito l’uomo, mentre la sua donna, tremante, cercava di ricoprire le sue nudità.
- Chang Changku, che ci fai qui? – domandò meravigliato.
- Tornavo al mio alloggio e ho visto la porta del retro aperta: non volevo che, se fosse mancato qualcosa, se la sarebbe presa con qualcuno del personale! – rispose l’uomo, inchinandosi leggermente – Non vorrei apparirle sfrontato, ma immagino che lei, quale persona onorevole, riconosca di avere un piccolo debito con me!-
Il suo interlocutore rise di cuore per quella sfrontatezza.
- Si, lo riconosco! Sentiamo, quanto vuoi per avermi salvato la vita? Chiedi ciò che ti pare, lo sai che non ho problemi di denaro! –
- Non voglio denaro! –
Lo sguardo dell’uomo si fece nuovamente stupito.
– Che cosa, allora? - 
- Solo questo: che lei consideri definitivamente chiuso ogni mio debito nei suoi confronti e che, se un giorno gli dei mi consentiranno di aprire un ristorante tutto mio, lei non verrà a chiedermi alcun tipo di favore! -

Joe aveva riportato l’amico nella sua abitazione, ma, come prevedibile, la sua reazione, quando ebbe ripreso i sensi, non fu delle migliori: non si capiva se fosse più arrabbiato o più disperato e, anziché ringraziare il suo compagno, lo avrebbe volentieri riempito di calci e pugni! Dai discorsi che fece, se pure vagamente deliranti, date le circostanze, Joe intuì che nel suo amico c’era la reale intenzione di non lasciare il tipo di strada sulla quale si stava pericolosamente incamminando. Lo salutò con il dolore nel cuore, questa volta, lo sentiva, definitivamente.
Era notte fonda e non sapeva dove andare; improvvisamente ricordò di aver lasciato lo zaino con tutta la sua roba nella chiesa dove aveva incontrato P. Joseph. Ovviamente non era certo l’ora giusta per bussare, né sapeva se avrebbe ritrovato le sue poche cose, ma, infondo, non gli importava più di tanto: l’unica cosa che voleva, in realtà, era un punto di riferimento, un luogo dove fermarsi, una sorta di meta. Si rimproverò per non aver accolto l’invito di Punma, che gli aveva offerto la sua ospitalità senza neanche conoscere bene la sua storia.
Vagava stanco e confuso, senza riuscire a ricordare la strada e, senza rendersene conto, stava per finire sotto le ruote di un furgone. L’autista inchiodò di colpo, evitando per miracolo di sbandare.
- Che diavolo combini, razza di idiota!! – urlò affacciandosi dall’abitacolo. Joe era caduto a terra e il volume del muso del mezzo impediva di vedere cosa gli fosse accaduto. L’uomo, a questo punto, cambiò completamente espressione del viso e si precipitò fuori, seriamente preoccupato per il ragazzo.
– Come stai? Niente di rotto? – domandò, rincuorandosi appena vide che la vittima dell’incidente era solo spaventata.
Joe guardava con aria basita quel tale che prima stava per ammazzarlo e poi per soccorrerlo, paradossalmente sconvolto più dal suo aspetto che dalla circostanza: in quella strada deserta, debolmente illuminata dai lampioni, il viso pallido dell’uomo, i suoi capelli albini e gli occhi talmente celesti da sembrare trasparenti, facevano davvero uno strano effetto! Già il cuore di Joe batteva all’impazzata, ma trovarsi di fronte alla materializzazione di uno degli spettri che popolavano certi racconti che ascoltava da bambino, gli mozzò totalmente il fiato!
- Calma, va tutto bene! – disse il suo soccorritore, usando un tono così sicuro e tranquillizzante che il ragazzo si riebbe finalmente dallo shock – Ho dell’acqua, sul furgone; vado a prenderla, hai bisogno di bere! –
- S…si…cioè…non si preoccupi. Dopotutto è stata colpa mia. –
- Questo è vero! – rispose l’altro con un sorriso ironico.
- Sto bene…mi scusi ancora. La saluto. – detto questo fece per andarsene, rendendosi conto di zoppicare leggermente a causa di una piccola contusione. L’altro lo chiamò.
- Aspetta! Abiti molto lontano da qui? Se vuoi ti do un passaggio. –
- A dire il vero, cercavo di raggiungere questo posto…- mostrò un biglietto sul quale Punma aveva annotato l’indirizzo della chiesa di padre Joseph, immaginando che il ragazzo avrebbe avuto qualche problema d’orientamento.
L’uomo guardò l’appunto con la faccia scettica. – Questa indicazione non mi dice molto, anche se forse, più o meno, ho capito la zona. Basterà guardare lo stradario. Sei ospite di questa parrocchia? –
Joe sospirò, rivelando tutta la sua stanchezza.
– No. Però là ci sono le uniche persone che conosco in questa città…Per stanotte credo che dormirò per strada; ho fatto male, sarei dovuto andare con Punma…- rispose, parlando più con se stesso che col suo interlocutore.
L’altro capì al volo la situazione e non volle fare ulteriori domande.
– Mi chiamo Albert Heinrich. Tu sei..?-
- Joe. Joe Shimamura.
- Bene, Joe. Se ti va, per questa notte, puoi dormire a casa mia; non è un granché e sto anche traslocando, ma è sempre meglio della strada! Domattina ti accompagnerò dal tuo amico. –
Il viso di Joe parve illuminarsi. – Non so come ringraziarla! Ma… non ha paura che io possa essere un malintenzionato? – Effettivamente, era un po’ troppo abituato a sentirsi trattare da teppista! Albert restò un istante in silenzio e poi scoppiò a ridere.
- Chi? Tu? Con quella faccia?! Voglio dire…non prendertela, ma si vede subito che non sei un criminale! E poi, anche se volessi rapinarmi, potresti portarti a casa davvero ben poco!! – Joe si sentì davvero in imbarazzo e l’imbarazzo aumentò quando il suo stomaco vuoto fece sentire la sua voce con un sonoro brontolio.
- Allora – tagliò corto Albert – dammi del tu e facciamo che i soldi che potresti rapinarmi ce li spendiamo per mettere qualcosa sotto i denti: ho finito da poco le mie consegne e sto morendo di fame! –
Joe sorrise e annuì, felice di aver fatto quell’incontro inaspettato.
Trascorsero quasi un paio d’ore in un pub poco affollato e Joe, pur sapendo di rischiare di perdere l’ospitalità, sentì il bisogno di essere sincero raccontare ad Albert come gli erano andate davvero le cose. Quella persona era davvero straordinaria, perché lo ascoltò senza giudicarlo. Era un tipo abbastanza silenzioso. Mentre uscivano dal locale, Albert fece per rimettersi la giacca e trattenne a stento una fitta di dolore al collo e alla spalla.
– Che hai? – domandò Joe preoccupato; già mentre mangiavano si era accorto che l’amico faceva fatica a compiere alcuni movimenti.
-  Non è niente. Sono solo le vecchie ferite dell’incidente, quello di cui ti parlavo…-
- Quando sei fuggito da Berlino est? Ma è passato un sacco di tempo!–
- Mpf…è che, ormai, l’organismo è compromesso… vedremo fino a quando regge la baracca, poi si penserà!-
- Comunque è anche colpa del tuo lavoro: è troppo pesante per te. Dovresti curarti. –
- Uhm…diciamo che, se non lavoro, non posso curarmi e se lavoro avrò sempre più bisogno di cure…presumo che non ci sia una via d’uscita, considerando anche che non amo il menù della mensa dei poveri! –
A Joe sembrò quasi incredibile che qualcuno con simili problemi non avesse mai pensato neanche per un istante di darsi ad attività illecite: molti dei ragazzi che conosceva ritenevano che il loro stato di povertà fosse una ragione sufficiente per delinquere…lui, in fondo, non ragionava così ma, all’atto pratico, aveva talvolta indugiato a certe cattive abitudini…
- Non ho detto che non devi lavorare…solo che non puoi fare un tipo di lavoro che comporta scaricare e caricare pesi e guidare per ore: così starai sempre peggio! –
- Dubito che mi pagherebbero per star seduto a far niente! Guarda che non è facile trovare altro genere di lavoro e io ho bisogno di lavorare. Punto. Il discorso finisce qui! –
- Ho capito.- Joe tacque, restando con un’espressione mesta dipinta sul viso. Poi ricordò una cosa e fece ad Albert una proposta -  Almeno potrei aiutarti nel trasloco con le cose più pesanti: non sembra, ma sono forte! – Albert sorrise.
- Non ho molto da spostare ma…affare fatto! -

Francoise si era recata prestissimo in teatro insieme alle sue colleghe; la compagnia teatrale aveva perso “lo scontro” e stava sbaraccando. Mentre si preparava le si avvicinò il tipo biondo che aveva visto con Bretagna. – Scusa, per caso hai visto il mio amico, quel tale pelato che si è messo a chiacchierare con te ieri? –
- No, oggi non l’ho proprio incontrato. –
- Ah. Doveva prendere alcune cose e venire via, solo che è sparito dalla circolazione. Se lo incontri digli che siamo in albergo e che domani, forse, ci sistemeranno in un altro teatro. –
- Bene. Se dovessi vederlo, riferirò! – rispose salutando.
La mattinata trascorse veloce; il gruppo di ballerine di cui faceva parte Francoise completò la sua performance e lasciò il palco a un altro gruppo. Francoise si sedette al buio in platea per riposare, quando un piccolo vagito la fece voltare di scatto. Dietro di lei una giovane donna dal fisico robusto stava dolcemente facendo zittire un neonato cullandolo tra le braccia.
– Sssth, Ivan! Altrimenti ci fanno uscire! –
- Com’è carino!- disse la ragazza – Ivan, vero? –
- Si. E anche a lui piace la danza classica! – rispose sorridendo, prima di assumere un’espressione mortificata. – Spero di non essere inopportuna: forse è proibito l’ingresso ai non addetti ai lavori, ma avevo bisogno di rilassarmi un poco e, trovando la porta aperta, non ho resistito alla tentazione!-
- Non si preoccupi: neanche l’hanno vista! –
Il bimbo fece a Francoise un enorme sorriso inaspettato, che la fece ancor di più intenerire.
- Posso tenerlo un attimo in braccio? – domandò.
La donna ebbe un istante di titubanza, poi le depose il bimbo tra le braccia.
- Lei gli piace, e i bambini capiscono subito la bontà delle persone! –
- Mi piacerebbe averne uno mio…- disse, navigando altrove con la mente.
- Glielo auguro di cuore – rispose la donna – e ancor di più le auguro di farlo con uomo dal cuore buono…- l’ultima frase lasciò perplessa Francose, ma non fece domande.
- Devo proprio andare…- disse la signora, riprendendo il piccolino – Mio marito ha un pranzo di lavoro e ci hanno chiesto di presenziare. –
- Suo marito è un uomo d’affari? –
- No, è uno scienziato. Siamo qui per un congresso. La saluto! –
Francoise rimase sola, annusando il profumo di borotalco che il bimbo le aveva lasciato sul vestito.

In tarda mattinata  Jet stava lanciando un’imprecazione dopo aver fallito il tiro sul biliardo del locale fumoso dove trascorreva perennemente il tempo con la sua gang; dopo quello che gli era accaduto, in quei giorni era terribilmente nervoso. Un tizio in giacca e cravatta entrò chiedendo di lui e invitandolo a seguirlo. Nathalie lo guardò preoccupata, tirandolo un attimo in disparte.
– Jet, che vuole da te quell’uomo? Sento che qualcosa non va…-
- Stà tranquilla, è tutto a posto – rispose mentendo – Ci vediamo più tardi! –
Salirono su un’auto. Per tutto il tragitto nessuno dei due aprì bocca. Finalmente la macchina si fermò in una delle zone del porto, accanto a un gruppo di uomini che lavoravano indifferenti attorno a delle grosse casse. L’autista entrò in una specie di ufficio e gli chiese di aspettare un attimo fuori. Jet odiava aspettare, specialmente in circostanze simili. Fingeva di seguire con lo sguardo il volo un gabbiano per nascondere a se stesso la tensione, quando, per un istante, si sentì osservato: un indiano, alto almeno due metri, con indosso una canotta che rivelava la sua muscolatura possente, aveva sollevato gli occhi dalle corde che stava riavvolgendo e lo stava scrutando con discrezione.
- Che hai da guardare? – fece Jet, tirando fuori il suo tono da bullo – Non l’hai mai visto uno bello come me? –
Per tutta risposta, Geronimo scosse il capo tra sé e sé, lasciandosi scappare un sorriso di compatimento. Questa reazione fornì a Jet il pretesto di scaricare i nervi, anche se, considerando chi aveva di fronte, le sue azioni non avevano molto di razionale! 
- Adesso mi spieghi perché hai fatto quella faccia! –
- Altrimenti? – disse l’indiano senza scomporsi.
- Altrimenti te la cancello a suon di pugni! –
- Oh. Se non avessi da fare, mi piacerebbe sapere in che modo pensi di riuscirci! –
- Credi di spaventarmi solo perché sei grosso? Guarda che non ho paura di te! –
- Fai male a non averne. Comunque ti guardavo solo perché si vede subito che sei in un mare di guai! –
- E a te che importa? –
- Niente. Mi dispiace solo che alla tua età tu debba frequentare certa gente.-
Jet rimase pensieroso per un istante: non aveva certo scelto lui di avere simili frequentazioni, ma tutto era stato generato dalle conseguenze delle sue azioni avventate…ormai era tardi  per tornare indietro. Il suo orgoglio gli stava imponendo di rispondere nuovamente all’indiano, ma la voce del tizio che era andato a prelevarlo lo fece desistere.
- Puoi entrare: mr. Lennox ti aspetta! -
Il tizio con le basette rossicce che aveva “soccorso” Jet quel fatidico giorno si fece trovare comodamente sprofondato dentro una poltrona di pelle nera, dietro una scrivania presidenziale, con tanto di cubano in bocca.
- Benvenuto, ragazzo. E’ venuto il momento che ricambi il favore che ti ho fatto. Abbiamo avuto qualche “problemino” con un pesce piccolo che uno dei miei capi ha reclutato in Giappone e ho pensato di concedere a te l’onore di risolverlo! –
- “L’onore”: adesso si chiama così un cazzo nel culo? –
Lennox rise di gusto.
- Sei sfrontato ma mi piaci! Attento, però: non tirare troppo la corda! – l’ultima battuta fu pronunciata con un’espressione troppo seria per non far tornare Jet sui suoi passi: poteva anche essere arrogante, ma sapeva con chi aveva a che fare.
- Che problema devo risolvere? -
- Oh, devi sapere che questo bastardo giapponese era stato reclutato col suo amico per far fuori “il cinese”, ma ha mandato a monte tutta l’operazione. Dal momento che non vogliamo spazzatura in giro, ti chiedo la cortesia di fare un po’ di “pulizia”…-
- Intende che devo pestarlo? – chiese, coltivando la vana speranza che così fosse.
- Certo che no: devi ucciderlo! –
- Ucciderlo?! – la voce di Jet si fece vagamente tremante.
- Bè, è un giapponese! Lo sai che erano nemici! Te la ricordi Hiroshima? –
- Si, me la ricordo. Non fu una bella cosa.-
- Appunto! Ti rendi conto dei soldi che abbiamo dovuto spendere per bombardarli? – accompagnò la battuta con una grassa risata, come se l’avesse fatta un altro. A Jet si aggrovigliarono inconsciamente le budella.
- Dove diavolo lo rintraccio?-
- Questo è affar tuo! – disse allungandogli un paio di foto di Joe, scattate a sua insaputa - Non può essere andato lontano: uno così, senza soldi e spaesato, o starà su qualche panchina o nel letto di qualche culattone!! – nuova grassa risata.
- E’ come cercare un ago nel pagliaio! –
- Ma no! Il suo amico non voleva parlare, ma quando ha visto che doveva darmi una prova della sua buona fede per rientrare nelle mie grazie, ha nominato una chiesa dove conoscevano un prete… comincia da lì, poi vedremo. Non è detto che i miei uomini non ti diano una mano!-

Proprio un paio d’ore dopo, Albert fermò il furgone vicino a uno dei tanti capannoni del porto e fece a Joe cenno di seguirlo.
Joe aveva trascorso la mattinata ad aiutare l’amico nelle sue consegne; finito il lavoro sarebbero andati alla nuova abitazione di Heinrick a scaricare le casse del trasloco e, infine, avrebbero rintracciato Punma, che si era offerto di ospitare Joe per qualche tempo; in mezzo a tutto questo, Joe aveva domandato ad Albert se ci fosse stato modo di trovare un lavoro da qualche parte: qualunque tipo di lavoro che non includesse atti di violenza e prostituzione!!
–Ecco qualcuno che può aiutarti! – disse il tedesco, indicando un enorme indiano all’opera e avvicinandosi a lui.
– Geronimo, non è che per caso avresti tra le mani un lavoretto per questo ragazzo? –
L’indiano si voltò e l’espressione che fece guardando Joe fu tra lo stupito e il preoccupato.
– Allontana subito il ragazzo da qui! – disse secco, lasciando i due amici esterrefatti.
– Cosa c’è che non va? – chiese Albert.
– Ve lo spiegherò un altro momento. Ti dico solo che c’è brutta gente che lo sta cercando…-
La cosa non meravigliò Joe; ciò che invece non riusciva a capire era come facesse quel colosso a essere informato dei fatti e la ragione per la quale si stesse tanto preoccupando di lui.
– Ho capito. – concluse Albert senza replicare – ci sentiamo più tardi.-
Salutato l’indiano, trascinò con sé Joe, che sarebbe volentieri rimasto a chiedere altre spiegazioni. Purtroppo, nonostante si fossero trattenuti in quel posto giusto il tempo di quello scambio di battute, uno degli uomini di Lennox li aveva notati…

Joe era intento a trasportare uno scatolone dentro l’appartamento. Ciò che era accaduto al porto lo aveva turbato, ma non abbastanza per non ricordare che quella sera avrebbe rivisto la bella ballerina…paradossalmente, la sua testa non riusciva a pensare ad altro! Era distratto e perfettamente a tiro. La sua nuca stava nel mirino del killer improvvisato e poteva essere già morto, se la mano che impugnava l’arma non avesse iniziato a tremare come una foglia!
“Coraggio, Jet! Lo hai già fatto una volta. Questo tizio neanche lo conosci, che te ne frega di lui? Coraggio, sparagli e avrai cancellato ogni debito! Sarà come se non fosse successo niente…nessuno parlerà…”
Un tocco deciso sulla sua spalla lo fece sobbalzare e voltare di scatto: si ritrovò a due centimetri dal viso del tedesco che accompagnava la sua potenziale vittima e, prima ancora di poter ragionare, fu colpito da lui con un violento pugno in faccia! Alzò il viso dolorante e si rese conto che l’uomo, nel colpirlo, si era fatto più male di lui! Deciso, passò al contrattacco con una scarica di pugni, ma Joe intervenne in difesa di Albert, fermandolo per il bavero della giacca e dimostrandogli di riuscire a picchiare più forte di lui.
– Chi diavolo ti manda, bastardo??? – gli urlò in faccia, tenendolo bloccato contro il pavimento. Jet non rispose e, prendendolo contropiede, si liberò di colpo dalla stretta, riafferrando la pistola che gli era scivolata dalle mani; nel compiere quest’azione, un proiettile gli passò a pochi centimetri dalla spalla, mettendolo in fuga: Albert era armato e le mani non gli tremavano affatto!
– Stai bene? – chiese a Joe.
– S…si. Tu, piuttosto? –
- Bene, grazie. Non vedo l’ora di fare due chiacchiere con Geronimo…-
- Forse dovrei esserci anch’io…- Albert lo guardò un istante, poi fece un sorriso, ricordandosi di qualcosa.
– Nooo, tu hai altro da fare! Ora ti porto dal tuo amico e domattina ti faccio sapere. Comunque tieni gli occhi bene aperti! -

Punma fu rintracciato e messo al corrente di tutto; valutarono l’ipotesi di rivolgersi alla polizia, ma Joe non nutriva molta fiducia nei riguardi di quella categoria…Decisero di rimandare tutti i pensieri al giorno dopo e quella sera Punma stesso scortò Joe in autobus al teatro, convinto che da solo si sarebbe smarrito!
Le prove aperte al pubblico stavano per iniziare e nel foyer c’erano radunate poche persone pronte a entrare; nessuno gli domandò nulla, ma a Joe venne un colpo quando, accanto a lui in mezzo a quella gente, vide il cinese che, quella sera maledetta, aveva colpito Hiroshi alla testa!
Il cinese trasalì più di lui e, sbracciandosi completamente, iniziò quasi a supplicarlo.
- Non dire a nessuno dove ci siamo conosciuti: sono pessime referenze!! –
- Ah…n…no, non ne farò parola con nessuno…- rispose titubante.
- Meno male! Tu devi essere proprio un bravo ragazzo, non come quello stupido del tuo amico! –
Joe ripensò a Hiroshi e si immalinconì. Il cinese lo distolse dai suoi pensieri.
- Anche tu sei qui per quel posto di aiuto cuoco? – chiese lanciandogli l’occhiata sospettosa che si da a un potenziale rivale. Joe rimase un istante interdetto, poi si affrettò a negare.
- No, sono qui perché ho ricevuto un invito! Il teatro cerca un aiuto cuoco?! –
- No, ragazzo, mica è un ristorante! Devo incontrare il proprietario del teatro, che possiede un ristorante! Mi hanno detto che era qui stasera…-
- Non saprei che dirle…comunque volevo ringraziarla per l’altra notte, per averci lasciati andare…-
L’uomo lo fissò dritto negli occhi con un’espressione serissima e poi disse, scandendo bene le parole:
- Noi ci siamo conosciuti qui stasera!! –
- Va bene, mister…? –
- Chang Changku! -

Joe entrò e prese posto. Le luci si spensero in sala, il palco si accese e la musica avvolse gli spettatori mentre le ballerine entravano in scena. Era tutto così strano, quasi surreale, agli occhi del ragazzo: quella dimensione gli era completamente sconosciuta! Inizialmente faticò un poco per individuare Francoise, ma non avrebbe mai confuso i suoi lineamenti con quelli di un’altra, anche se l’aveva vista una sola volta e adesso era pettinata e truccata in modo totalmente diverso, “nascosta” in mezzo a tante altre ragazze vestite e pettinate come lei. Lei, al suo sguardo, quasi brillava. Rimase rapito da quell’immagine eterea per tutto l’arco dello spettacolo, senza rendersi conto del tempo che passava, libero di rilassarsi e fantasticare al buio di quel posto magico.
Quando tutto finì e le luci si riaccesero, in sala c’era una strana concitazione, come se stesse accadendo qualcosa e le persone si affrettassero all’uscita. Francoise non era andata a cambiarsi insieme alle altre: era ansiosa di salutare il suo ospite, di sentire come gli era parso ciò che aveva visto. Non fecero in tempo a salutarsi che alcune colleghe di Francoise passarono veloci accanto a loro, già pronte.
– Corri! – disse una – Forse facciamo in tempo a raggiungere l’albergo: ci danno un passaggio!! – Mentre la ragazza guardava basita tutta quell’agitazione, una mano toccò la spalla di Joe.
- Punma, che ci fai qui? – domandò il ragazzo, vedendo inaspettatamente apparire l’amico.
– Sta per arrivare un uragano! – gli rispose - Nessuno di noi ha sentito dell’allerta meteo, assurdo!! Dovevo avvisarti e, comunque, siamo troppo distanti da casa; in questi casi, l’unica cosa da fare è rintanarsi al chiuso finché non passa, sperando che vada tutto bene!-
Non c’era molta gente e, tra questi, c’era chi valutava di raggiungere un mezzo di trasporto, mentre il custode invitava chi non aveva la possibilità di trovare un riparo a trattenersi lì dentro. Tra quelli che non sarebbero potuti tornare a casa, appostato nel buio di una delle quinte aspettando il momento migliore per agire, c’era Jet: aveva fallito la prima volta, ma non poteva fallire la seconda…o forse si?
Non troppo tempo prima il telefono di Albert aveva squillato. Dall’altra parte c’era Geronimo; la sua voce aveva un tono insolitamente agitato.
- Bisogna avvisare il ragazzo che Lennox è morto. –
- Morto? Finalmente una buona notizia! Ma…quale ragazzo vuoi avvisare? –
- Già…diciamo…entrambi! Sono certo che il secondo ha seguito il primo. Tu sai dove rintracciarli? –
- Joe aveva un appuntamento galante a teatro: lo troviamo là. Ma sbrighiamoci: tra poco scoppierà una bufera! -
Alla fine, nell’enorme teatro, erano rimaste ben poche persone: il custode, un tecnico, Punma, Joe, e Chang, insieme a Francoise che aveva preferito rimanere con loro. Si sapeva che la situazione sarebbe rientrata dopo tre, quattro ore al massimo, anche se restare bloccati lì in tarda serata non era piacevole. Francoise si fece accompagnare da Joe verso i camerini: aveva completamente dimenticato di togliersi gli abiti di scena! Fu proprio mentre la ragazza era dentro e Joe se ne stava nel corridoio ad attenderla, che da dietro uno dei pesanti tendaggi venne fuori Jet, preceduto dalla pistola che Lennox gli aveva dato per compiere il lavoro. Joe impallidì, colto completamente di sorpresa. L’altro non aveva la benché minima intenzione di tergiversare: se doveva farlo, doveva farlo subito e senza pensare. Più veloce della sua mano fu lo sbucare di Chang da una delle porte.
– Che sta succedendo qui?! – domandò, intuendo di trovarsi press’a poco nella stessa situazione del locale del boss cinese.
- Togliti di mezzo, cinesino del cazzo!! – gridò Jet, sconvolto dall’apparire di un potenziale testimone.
- Hey, come diavolo ti permetti di rivolgerti così a una persona adulta?! Dimostra più rispetto, ragazzino, altrimenti dovrò insegnarti io la buona educazione!! –
- Non mi ero accorto che eri adulto! – ghignò Jet, sollevando la pistola e meravigliandosi del fatto che quell’ometto non facesse una piega mentre lo minacciava: Chang era semplicemente indignato, e niente poteva spaventarlo quando il fuoco dell’indignazione gli bruciava dentro!
- Signor Changku – disse Joe, non perdendo di vista Jet neanche per un istante - si metta da parte: non voglio che rimanga coinvolto nei miei problemi! Questo tizio ce l’ha con me, devo vedermela  da solo! –
- Sei un bravo ragazzo, ma questo tizio mi ha provocato, quindi sono anche affari miei! Ho una dignità da difendere!! –
-  Ora vi mettete pure a conversare?! – esclamò Jet, che stava iniziando nuovamente a tentennare e cercava faticosamente di mascherarlo – Allora vediamo: chi devo accoppare per primo? –
- Prova con me! – la voce di Punma arrivò insieme al colpo sul braccio che gli fece rotolare l’arma a terra, prontamente raccolta da Francoise, che, spiando l’accaduto dalla porta dei camerini, era corsa a chiamare il ragazzo di colore. A quel punto, Jet era completamente vinto. Guardò il gruppo di persone che lo aveva circondato e si voltò esasperato verso la parete, iniziando a tempestarla di pugni.
- NOOO!!! NON E’POSSIBILE!!!! – gridò – Maledizione, non ce la faccio più!!!Maledizione! Maledizione! MALEDIZIONEEE!!! –
- Stà buono, o ti spaccherai un braccio! – una possente mano dalla pelle rossa lo bloccò è lo fece voltare. Albert e Geronimo erano là, tra la meraviglia dei presenti.
- Che diamine ci fai qua, bestione?! Mi insegui per farmi la predica o lavori nella danza classica?! – disse Jet, sperando che qualcuno gli spaccasse la testa in quell’istante, sottraendolo alla vendetta dell’organizzazione di Lennox.
- Sono qui per darti una notizia interessante: Lennox è morto! –
- M…mi stai prendendo in giro?!? –
- No. E’ stato ammazzato dalla mafia cinese. Tutto il lavoro che ho fatto per consegnare lui e i suoi alla polizia è andato in fumo! –
- L…la polizia?!? –
- Si, ma stai tranquillo: non intendo spedire in galera uno sprovveduto come te! –
- Bada a come parli! – disse, ritrovando un poco della sua solita baldanza.
Geronimo non gli prestò la minima attenzione.
- Non capisco – disse Chang – perché reclutare due ragazzini giapponesi per ammazzare uno come mr. Ho – Yang? –
- Perché il boss di Lennox non voleva rischiare una guerra con la mafia cinese e non voleva compromettere i suoi: considerando l’origine orientale dei killer, avrebbero anche potuto pensare a una vendetta interna, qualora li avessero sorpresi. E sono certo che li avrebbero sorpresi e fatti fuori! – disse Albert.
- Stai dicendo che se avessimo portato a termine l’incarico avremmo fatto comunque una brutta fine? – domandò Joe.
- Questo è sicuro. – rispose Geronimo.
- Comincio a pensare che certa gente non conosca affatto la differenza tra cinesi e giapponesi! – sbottò Chang quasi scandalizzato.
- Infatti sono uguali: stessi occhi a mandorla! – disse Jet, che ormai non solo si era calmato, ma non vedeva più alcuna ostilità nelle persone che gli stavano attorno.
- Non dire scemenze! – lo riprese Albert – Paragonare un cinese a un giapponese perché hanno entrambi gli occhi a mandorla è come paragonare un greco a uno svedese perché hanno entrambi gli occhi azzurri! –
- Personalmente non sono capace di distinguere nessuna etnia: fino a ieri conoscevo solo giapponesi e gli occidentali per me erano tutti uguali! – disse Joe.
Albert rise. – Ma sì: in fondo siamo lo stesso tutti uguali! – poi si rivolse a Jet – Allora, che dobbiamo fare con te: dobbiamo consegnarti alla polizia? –
Jet abbassò la testa. – Ma si…in fondo me lo merito…almeno finirà questo incubo…-
- Non ce n’è bisogno! – intervenne Joe – Dopotutto io e lui siamo simili e, immagino, se avesse voluto davvero uccidere o ne fosse stato capace lo avrebbe potuto fare tranquillamente…- poi guardò il rosso con gli occhi severi - Questo non significa che non ce l’abbia ancora con te! -
Jet lo fissò pieno di stupore e gratitudine, mentre Punma si scambiava un sorriso con Albert.
– Sei decisamente una persona molto generosa! – disse.

Fuori imperversava l’uragano e nessuno sapeva quanto sarebbero dovuti restare là dentro, ma gli animi si erano calmati. Francoise era sempre più attratta e impressionata da quel ragazzo capace di non vendicarsi di qualcuno che lo aveva addirittura minacciato di morte…il paradosso era anche che Jet, se pure la mettesse a disagio, iniziava a sembrarle un bravo ragazzo!
Lo sbattere del portone e l’urlo disperato di un bambino attirò tutti nel foyer. Francoise riconobbe la signora che aveva conosciuto quella mattina con il piccolo Ivan.
La donna era terrorizzata. – Vi prego! Nascondete il mio bambino! – supplicò tra le lacrime.
– Coraggio!- le disse Geronimo, mentre il custode offriva dell’acqua – Qui sarete al sicuro finchè non passa la tempesta! –
La signora Whiskey scosse il capo: non era l’aver attraversato la bufera che l’atterriva e cercò di spiegare.
– No…non è questo… stiamo fuggendo da mio marito! Vuole usare nostro figlio…nostro figlio!! – iniziò a singhiozzare tra le braccia di Francoise, poi continuò - …vuole farne una cavia per i suoi esperimenti!! -
I presenti si guardarono l’un l’altro, indecisi se credere o no alla donna.
- Signora, adesso cerchi di calmarsi – disse Joe – così spaventerà ancor di più il bambino! –
quella frase le fece trovare il coraggio di mettere il suo piccolo davanti a tutto e tentò di darsi un minimo di contegno.
- Io…chiedo scusa a tutti…so che forse non mi credete…forse l’unico che può aiutarmi a denunciare mio marito è il dottor Gilmore: lui conosce bene i suoi esperimenti! Oh, sto di nuovo sembrando assurda…-
- Cerchi di calmarsi – ripeté Albert – quando sarà tutto finito risolverà i suoi problemi. –
- In verità…ho paura che mi stiano inseguendo! –
- Chi la sta inseguendo? – chiese Punma.
- Gli scagnozzi dell’organizzazione per cui lavora mio marito: sicuramente ha chiesto loro di riportarci indietro! –
- Se questa non è pazza, allora questo è il giorno più assurdo della mia vita! – commentò Jet ad alta voce, attirandosi un’occhiataccia da Francoise.
Un rumore sospetto, proveniente da uno dei depositi, mise tutti in allarme. Albert impugnò la pistola e Joe andò verso la porta di uno dei ripostigli, aprendola di scatto. Insieme a tre o quattro scope, ne scivolò fuori un tizio apparentemente privo di conoscenza.
- Bretagna! – esclamò Francoise.
- Conosci questo tipo? –
- Si, è un attore teatrale. L’ho conosciuto l’altro giorno. –
- Un attore? – fece Chang – non dovrebbero avere un aspetto diverso? –
- Quelli belli sono gli attori del cinema; questo qui lavora a teatro! – disse Jet, esponendo con convinzione la sua teoria.
- Veramente un attore non deve sembrare bello, ma saper recitare! – li corresse Francoise – Comunque…che ha? –
- Niente! Ha solo preso una sbornia! – constatò Albert.
- Magnifico! – esclamò Jet, dopo la pazza e il poppante, anche uno che sta male, adesso!! -
- Non possiamo lasciarlo in queste condizioni! – disse la ragazza.
- Perché no? Almeno sta zitto! – replicò il rosso.
La ballerina lo fulminò con gli occhi.
- E va bene! – sospirò Jet - Ricordo che mia nonna preparava un “resuscita morti” infallibile per far riprendere mio nonno dalla sbornia! Si risveglierebbe anche se fosse in coma! Mi occorrono tre caffè, sale, coca cola e, se c’è, del chili!-
- Non so proprio se sia il caso, dopo che si è rovinato il fegato da solo, rovinargli anche lo stomaco! – osservò Chang.
- Tu ce l’avevi un nonno alcolizzato, signor “so tutto”? –
- No: eravamo troppo poveri per concederci dei vizi! –
- Veramente lo era pure mio nonno: beveva apposta! –
- Ah. Mi sembra proprio un modo furbo di andare avanti: spendere dei soldi perché non si hanno soldi! Speriamo che il quoziente intellettivo non sia ereditario! –
- Fai meno lo spiritoso, altrimenti la smetto di fare quello gentile! –
- Perché, avevi cominciato a fare il gentile? – domandò ironicamente il cinese.
- Smettetela, per favore! – intervenne Joe – Non mi pare proprio il momento più adatto per i battibecchi!-
- Va bene, finiamola qui. – concluse Chang, che non voleva la guerra – Resta il fatto che quella roba che vuoi propinargli, secondo me, lo distrugge! -
- Non preoccuparti, gialletto, è collaudata! –
- “Gialletto”?! Bada a come parli, moccioso!! – si ribellò Chang.
- Hai per caso qualcosa contro i gialli? – chiese Joe, guardandolo turpe.
- Quasi mi dimenticavo: tu sei giallo al 50%, anche se non si nota! –
- Piantala di esprimerti in questo modo! – ribadì il ragazzo.
- Altrimenti? – ribatté Jet, con un ghigno di sfida.
- Basta così! – intervenne Punma – Joe, smettila almeno tu! –
- Dimentichi che questo tizio intendeva uccidermi! –
- Ora piantatela! – sbottò Albert – Altrimenti sarò io a uccidervi entrambi! –
- So io come fare nei casi di sbornia. – Punma prese in mano la situazione. – Il modo migliore è cercare di farlo camminare su e giù e farlo bere.-
- Deve bere ancora?! E quando gli passa!? – esclamò Jet.
- Acqua. Deve bere acqua!! –
- Già – rise imbarazzato – Era logico! -

La bufera, all’esterno, faceva sentire la sua eco anche dentro al teatro attraverso sinistri rumori e improvvisi boati. Ivan si era calmato grazie a del latte e a della musica gentilmente offerta dal tecnico e ora dormiva tranquillamente tra le braccia di sua madre, invidiato da Francoise, che faticava a non mostrare agli altri la sua paura per gli eventi atmosferici. Joe la guardò un poco dispiaciuto: l’avrebbe abbracciata volentieri per farle coraggio, ma non avrebbe mai osato essere così sfrontato! Le si fece vicino, sorridendo rassicurante.
- Coraggio, passerà presto. –
Lei ricambiò il sorriso, annuendo.
Intanto Bretagna si era ripreso e si era seduto con Punma nei primi posti della platea.
- Non avevo intenzione di creare problemi… - disse imbarazzato – mi dispiace di averti fatto fare qualche chilometro su e giù per farmi riprendere! -
- Bè, nonostante la prima impressione, sei una brava persona! – sorrise Punma.
- Ah…Wilde diceva che bisogna sempre fidarsi della prima impressione: sono contento che per una volta si sia sbagliato! –
Geronimo si affacciò dal palco.
- Tutto bene? Perché non venite quassù? Si sta più caldi! –
Raggiunti gli altri, si rifecero le presentazioni e, chiacchierando, venne fuori tutta la storia assurda di Joe e di Jet.
- …Quindi tu avresti dovuto uccidere un malavitoso cinese, non lo hai fatto e il malavitoso americano ha ingaggiato lui per uccidere te? E ora che lui non c’è riuscito chiederà a un terzo di uccidervi entrambi? E, se il terzo si ritira, a un quarto che dovrà ammazzarne tre? – domandò Bretagna, più incuriosito che stupito.
- Mmm…si, più o meno…- rispose Joe, meravigliato di quella sintesi che, tuttavia, corrispondeva in parte al vero.
- Non ci sono più i delinquenti di una volta! – commentò infine Bretagna, scuotendo il capo in segno di disapprovazione, mentre mandava giù un altro sorso, questa volta non dalla bottiglia dell’acqua presa da Punma ma dalla bottiglietta metallica che teneva nella tasca interna della giacca.
- Amico, tu lo sai che hai un problema, vero? – osservò Albert.
- Si: troppe persone che mi danno consigli! – rispose tranquillamente, alzando un sopracciglio.
- Guarda che te ne stavi chiuso in uno sgabuzzino privo di conoscenza: se a te questo pare normale!! –
- Dimenticavo… - disse Francoise –… c’era il tuo amico che ti cercava: era davvero preoccupato. -
Bretagna rimase un attimo pensieroso.
- Si, mi sa che forse dovrei iniziare a preoccuparmi anch’io…-
- Come mai? – fece Albert ironico – Ti hanno trovato tracce di sangue nell’alcool? -
- Tu hai sempre l’abitudine di interessarti tanto a chi non conosci? – rispose l’interessato, non con un tono infastidito, ma come se si ritrovasse di fronte a qualcosa di insolito.
- Mha…- gli rispose – forse, avendo inevitabilmente dei problemi,  mi secca vedere quando sono gli altri a procurarseli da soli! -
Ci fu un lungo istante di silenzio, riempito dal rombo di un tuono.
- Sentite – esordì Francoise - visto che siamo costretti a restare chiusi qui dentro finchè non cessa l’allarme, cosa ne pensate di fare un gioco? –
Tutti la guardarono con la faccia stupita e lei arrossì pensando di aver fatto l’impressione di una bambina annoiata.
– Per me va bene! – sorrise Joe, rincuorandola.
– Anche per me – disse Bretagna, alzando la mano – purchè non ci siano penitenze da pagare! –
- Ma no! E’ una cosa che faceva una mia amica per far conoscere meglio le persone: ognuno di noi deve dire una parola che rappresenti qualcosa di triste e una parola che rappresenti qualcosa di allegro…-
- Ho capito! – disse Punma – Comincia tu, allora, visto che hai fatto la proposta! –
- Va bene! Dunque… “canile” e “shoppig”! Joe, tocca a te! - 
Il ragazzo tentennò un momento.
– “Orfanotrofio” – disse, facendo intuire a Francoise che la cosa lo toccava un po’ troppo.
- Ah, quasi come “canile”: ci stanno quelli abbandonati da qualcuno! – commentò Jet, senza pesare le parole e senza capire perché Albert lo avesse fulminato con gli occhi! Poi gli arrivò l’intuizione, cogliendo un velo di malinconia nello sguardo di Joe, e tentò di bypassare la gaffe -  …ehm…e la cosa allegra? -
- …e “macchina da corsa”! – disse Joe, contento di non soffermarsi sull’argomento precedente.
- Ti piace la formula uno? – domandò Jet con entusiasmo – Io non mi perdo una gara!! –
- Bè, si…- ammise Joe – uno dei miei sogni sarebbe poter anche solo toccarne una! –
- Che sarà mai! – esclamò Bretagna – Mica stai chiedendo di toccare il “davanzale” alla principessa Diana! E’ un sogno realizzabile!-
- Lo spero! –rise il ragazzo – Ora tocca a te!-
- Allora… “anni”… -
- “Anni”? – domandò Jet – E che significa? –
- Gli anni che passano sono una cosa molto triste! – fece anche lui una piccola pausa, poi sorrise - …e “cup-cake”! Sentite, voi non avete fame? - 
- Io sicuramente! – disse Chang.
- Vediamo cosa c’è rimasto nel bar e dividiamolo! – propose il custode – Chi mi aiuta? –
Si spostarono dall’altra parte. Joe tolse uno scatolone dalle mani di Francoise e lo appoggiò su uno dei tavolini; mentre lei lo apriva aiutata da Chang e dal custode, Joe tornò sotto al bancone a recuperare una cassa d’acqua. Bretagna guardò lei e guardò lui.
- Ti piace, vero? – chiese con un sorriso a trentadue denti.
- Ma no…si…cioè…no!- farfugliò imbarazzato. Lo sguardo del suo interlocutore diceva chiaramente “non dire fesserie!”, quindi gli scappò un’inaspettata confessione.
- E’ che lei è…è davvero troppo per me! –
- In che senso? –
- Ma non la vedi? E’ bella, talentuosa, con una vita e una carriera davanti! Io che potrei darle? E poi sarà certamente circondata da un sacco di uomini del suo ambiente…-
- Ah, di quelli non devi preoccuparti: sono tutti gay! –
- Dici sul serio?! –
- No, è solo un luogo comune, ma pensavo che questa frase potesse incoraggiarti! –
Joe sospirò. Bretagna riprese a parlare.
- Senti, non è che quello che si può dare a qualcuno quando si ama si misuri in talento, bellezza o bella vita…-
- E in che si misura, secondo te? –
- Bè, in…amore! –
- Parli per retorica o per esperienza? –
- A dire il vero…una volta c’è stata una persona che mi ha amato davvero…penso di aver ricevuto da lei molto più che da chiunque altro, anche se lei, materialmente parlando, avesse molto meno di tanti altri che conoscevo…- Lo sguardo di Bretagna si era immalinconito e vagava lontano chissà dove; Joe stava per chiedergli qualcosa, ma la voce di Jet proveniente dall’interno del teatro lo fece correre in quella direzione.
- Lascia stare il bambino, fottuto stronzo!!! –
Joe superò la pesante tenda  dell’ingresso e vide che due uomini vestiti di scuro erano sbucati fuori da chissà dove e avevano aggredito la signora Wiskey prima che Punma, Albert e Geronimo potessero intervenire. La donna era a terra, soccorsa da Albert, mentre il piccolo Ivan era in braccio a uno degli aggressori; il suo compare stava estraendo una pistola per puntarla contro Geronimo, che sbarrava loro l’uscita. L’ingresso di Joe, seguito da Francoise, ebbe l’effetto di distrarre un attimo i due, permettendo a Punma di scagliarsi contro l’uomo armato; senza fermarsi un istante a riflettere, Francoise si lanciò contro l’altro individuo, sottraendogli il bambino; sarebbe stata una follia che avrebbe pagato con la vita, se Jet non fosse stato abbastanza rapido a colpire con un destro lo zigomo del tizio, che rotolò a terra rantolando.
- CARSON!!! SWAN!!! – urlò più volte l’uomo che si batteva con Punma, prima di essere definitivamente zittito da un colpo alla nuca da parte di Geronimo. Un altro tipo, vestito come i precedenti, spuntò dal primo ordine di palchi, e sparò un colpo da una pistola silenziata verso Francoise, che si scansò miracolosamente solo grazie alla sua agilità di danzatrice. Una voce, proveniente dal lato opposto, lo ammonì:
- Che diavolo combini?!? Così ammazzi il bambino!! –
- Françoise stava istintivamente per correre verso Joe, che la stava raggiungendo con il terrore negli occhi per ciò che poteva accadere, ma uno dei due aggressori venne giù dai palchi con un balzo, frapponendosi tra i due e costringendo la ragazza a fuggire dal lato opposto, verso le quinte della scena. Joe si lanciò dietro correndo più veloce che mai, e, quando il tale fu sopra una delle scale del palco, gli fu addosso e iniziò a lottare contro di lui come avrebbe fatto una tigre. L’avversario non era facile: si intuiva che era un individuo avvezzo a combattere, ma nulla potè contro la furia del giovane, che lo sbaragliò affrontandolo corpo a corpo. Nella concitazione della lotta non si era reso conto che c’erano altri due uomini; uno era stato bloccato da Punma e Geronimo, ma l’altro gli stava praticamente addosso con la canna della pistola e ora la situazione era messa male. Albert fu costretto a puntare la pistola suo malgrado per salvare l’amico e Jet gli fu accanto con la sua dandogli man forte. Il tizio sogghignò.
- Vediamo se arriva prima la vostra pallottola o la mia! – disse puntando l’arma contro la tempia di Joe.
- …oppure la mia! – disse una voce alle sue spalle, dal buio di una delle quinte, mentre qualcosa di freddo e metallico premeva contro la nuca dell’assalitore.
- Appoggia la pistola a terra. Piano. – ordinò l’uomo alle sue spalle.
Jet e Albert continuavano a tenerlo sotto tiro e sgranarono gli occhi quando videro che la persona intervenuta in loro aiuto era Bretagna! L’uomo in nero depose la pistola come gli era stato ordinato e Albert gli fece cenno di alzare mani.
- Passami quella corda! – chiese a Chang, arrivato in quel momento.
- Lo lego io! – si offrì il cinese – So legare i maiali! –
Quando il tale fu legato rinchiuso con i suoi complici in uno sgabuzzino del teatro in attesa che l’uragano finisse e potesse giungere la polizia, tutti tirarono un respiro di sollievo.
- Complimenti! – fece Chang a Bretagna – Lavori anche tu in incognito per la polizia? –
- Ma no, stavo solo recitando! E’ l’unica cosa che so fare! – rispose l’uomo, ridendo.
- Non immaginavo che te ne andassi in giro armato! – disse Albert, leggermente preoccupato del fatto che un alcolista possedesse qualcosa di letale.
- Certo che no! E’ un oggetto di scena: sotto al palco ce n’è una cassa piena! Non è là che avete preso le vostre? –
- Ehm…veramente no! – rispose Jet.
- Caspita, sembrano proprio vere! – commentò l’inglese guardando da vicino.
- Sono vere! – dissero i due, quasi in coro.
- S…sono vere?! – esclamò l’altro, con un’espressione di vero spavento dipinta in faccia – Io ho terrore delle armi! P..per piacere, abbassatele e fatele sparire!! –
“Questo qua non ci sta proprio con la testa: prima fa l’eroe e poi ha paura delle armi!” pensò Albert.
Essere sopravvissuti a una situazione del genere aveva caricato tutti di una strana euforia. A Jet non pareva vero di essere passato, nel giro di poche ore, da potenziale assassino a salvatore di un pargolo! Joe, invece, era impressionato dal fatto che, anche lui nello stesso arco di tempo, si era ritrovato per tre volte minacciato da un’arma e per tre volte era stato salvato da qualcuno! Restò ancora più confuso quando, dopo che l’aggressore fu legato da Chang, si ritrovò con le braccia di Françoise intorno al collo! La ragazza aveva lasciato Ivan alle cure di sua madre e non era più riuscita a trattenere tutte le emozioni di quell’assurda nottata. Lui voleva stringerla forte come non aveva mai fatto con nessuna, ma qualcosa, come una sorta di paura e riservatezza, lo fecero desistere. Si limitò ad appoggiarle le mani dietro la schiena, abbracciandola appena, mentre i battiti del suo cuore tradivano un principio d’infarto!
L’uragano era cessato e, alle prime luci dell’alba, arrivò la polizia chiamata dal custode. Gli agenti portarono via quegli uomini e iniziarono a raccogliere le testimonianze dei presenti. Joe aveva appena finito di rendere la sua e lasciò il suo posto a Francoise. Era terribilmente stanco e confuso e salì sulla terrazza dell’edificio a prendere una boccata d’aria. Lì, stretto nel suo giubbotto di pelle con una sigaretta in mano, se ne stava  Jet, con lo sguardo puntato sul sole nascente.
- Hai parlato anche tu con gli sbirri? – gli fece, vedendolo appoggiarsi al parapetto.
- Si, già fatto. Ora tocca a lei… - rispose, notando che da lassù si intravedeva ad angolo la finestra di uno degli uffici del teatro, dove, dietro ai vetri, Francoise stava parlando col commissario.
- Tanto carina, la francesina! Sei cotto come un tacchino, eh? – ridacchiò Jet.
- Ti ci metti anche tu? –
- Perché, te l’hanno detto altre persone, vero? – continuò con lo stesso tono.
- Praticamente quasi tutti quelli che hai conosciuto ieri, tolte poche eccezioni! –
- E non è vero? –
Joe tirò un respiro profondo e malinconico.
- Vero o falso…che cambia? Tanto lei domani tornerà a Parigi…-
- Tu sei il classico tipo da “grande storia d’amore”! – disse tra il serio e il faceto - Perché non vai con lei? Che ti trattiene? -
- Mi piacerebbe seguirla, tanto qui non ho radici…-
- Che aspetti? Fallo! –
- Si, fai presto a parlare! Non ho neppure i soldi per pagarmi il biglietto dell’aereo! –
Jet si fece pensieroso.
- Mha…con un paio di “giornate intense” sugli autobus della città, borseggiando le persone giuste, potresti anche raggranellarli in fretta! –
- Che cavolo dici?! Già prima queste cose non le facevo praticamente mai, se non quando ero proprio alle strette, e dovrei farlo adesso che voglio cambiare vita? –
- Si, hai ragione…neanche Nathalie sarebbe d’accordo! –
- Chi è Nathalie? La tua ragazza? – chiese Bretagna, affacciandosi anche lui alla ringhiera e inserendosi nella discussione, mentre tirava un sorso dalla sua bottiglia.
Jet arrossì per un brevissimo istante, poi fece una mezza risata fasulla da bulletto.
- Eh? No, no, ma che dici…diciamo “quasi” la mia ragazza! Non ho legami, io! –
- Però! Mi hai fatto ricordare che, all’epoca, anch’io stavo con una che era “quasi” la mia ragazza…- disse l’attore.
- E poi? –
- …Poi, visto che la consideravo “quasi” la mia ragazza, sono stato così idiota da perdere l’amore più grande della mia vita! Tu vedi di non fare altrettanto! –
- Parlavi di lei, stanotte? – chiese Joe.
- Si…si chiamava Sophie…- di nuovo l’espressione si fece malinconica, ma durò pochi secondi - Comunque pensiamo al presente: non rinunciare a lei così facilmente! Poi, se ti sei sbagliato, pazienza! Ma almeno non avrai perso un’occasione! –
- Credimi, lo vorrei tanto…-
- Mha…almeno non rinunciare in partenza: scambia l’indirizzo, il numero di telefono…se non altro non vi perderete di vista! Poi, chi lo sa…-
- Già…chi lo sa…- si disse Joe pensieroso, mentre Jet rientrava, seguito da Bretagna,  che fece due passi e poi tornò indietro. Joe fece un gran sorriso quando vide che l’uomo aveva appoggiato la sua bottiglia sopra al parapetto, per poi allontanarsi ricambiando il sorriso.

Dopo circa un’ora tutti si salutarono, anche Joe e Francoise. Lui riuscì solo a scambiare l’indirizzo e a dire poche parole di circostanza, lasciando lei palesemente delusa. Poi si scambiarono appena un piccolo bacio sulla guancia, sotto gli occhi degli altri che erano rimasti a guardare a pochi metri di distanza.
- Però…- commentò Chang – E’ un po’ rigidino, il ragazzo!-
- Secondo me è rigidino anche nei pantaloni, se non si sfoga mai! – rise Jet.
-Raffinato come un vero lord, eh? – disse Bretagna, mentre Albert scuoteva la testa.
Joe raggiunse il gruppo con la stessa espressione di chi rientra da un funerale e, solo allora, si rese conto di avere tutti gli sguardi addosso.
- Che succede? – domandò un po’ preoccupato.
- Abbiamo parlato tra noi – disse Albert – e abbiamo deciso che ti aiuteremo con il denaro per andartene in Francia! –
- Ma…ma voi…- balbettò commosso e stupito.
- Tranquillo: quando troverai un lavoro onesto ce li restituirai! – disse Punma.
- E poi anche la signora Wiskey voleva darci qualcosa per ringraziarci, quindi…- continuò Geronimo.
- Dopotutto stavi per rimetterci le penne! – sottolineò Chang.
- E poi, per quanto mi riguarda – disse Bretagna - dandoli a te sono certamente spesi meglio! –

Francoise occupò il suo posto sull’aereo; era capitata accanto a una delle poche colleghe con le quali c’era un reciproco sentimento di sincera antipatia; tuttavia non se ne curò molto: considerando che non aveva nessuna voglia di parlare, meglio stare accanto a qualcuno che non gliene avrebbe dato occasione! Quell’avventura l’aveva destabilizzata; non gli eventi in quanto tali, ma il sentimento che le era rimasto addosso: si sentiva inspiegabilmente triste, come se avesse perso qualcosa di molto prezioso… Le persone stavano ancora prendendo posto nei rispettivi sedili, quando la sensazione di essere fissata, unita a un misterioso calore, la costrinse a guardare alla sua destra. Ciò che vide le sembrò un sogno: accanto a lei, nell’altra fila di sedili, c’era Joe!
– Ma…ma…tu…?! – riuscì appena a balbettare, in preda allo stupore.
– Si, vengo con te in Francia. Forse è una follia, ma sapevo che non seguirti sarebbe stato l’errore più grosso della mia vita! –

Naturalmente questa è una storia che non è mai accaduta perché, se realmente quelle nove persone non fossero mai state prese dai Black Ghost, realisticamente parlando il loro destino sarebbe stato ben diverso: forse Ivan sarebbe sfuggito al padre e cresciuto nella maniera in cui può crescere il bambino di una donna braccata da un marito pazzo; Jet avrebbe trascorso molti anni in galera per scontare il suo delitto; Albert sarebbe morto insieme a Hilda a causa delle ferite riportate nell’incidente; Geronimo, probabilmente, se la sarebbe cavata in qualche maniera, cambiando luoghi e lavori; Chang era destinato a morire impiccato; Bretagna avrebbe condotto una vita in mezzo alla strada, a meno che qualcuno non l’avesse aiutato a risalire la china; Punma avrebbe avuto le stesse aspettative di vita di qualunque altro individuo vissuto in mezzo alla guerra e alla miseria; Joe non avrebbe mai potuto incontrare Francoise e sarebbe stato molto tempo in riformatorio. L’unica persona che era destinata alla felicità era proprio lei, la nostra ballerina. Avrebbe avuto una carriera davvero luminosa, ma…avrebbe mai incontrato il vero amore?

 

 

© 19/12/ 2016

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